La nostra intervista con Paola Parigi, ex avvocato, free lance di marketing strategico e comunicazione principalmente per studi legali, fondatrice, nel 2013, di Paris&Bold, inizia parlando di siti internet: superati oppure no?
«Con una battuta risponderei che solo certi siti internet sono superati. La comunicazione in questi anni, con una accelerazione incredibile negli ultimi mesi anche a causa della pandemia, si è spostata essenzialmente online, su questo siamo tutti d’accordo. Più che mai per comunicare bisogna tener presenti le regole della rete che, per ora, sono quelle di Google».
Quindi consiglierebbe, ad uno studio legale, di investire nel “vecchio” sito internet, anche nell’epoca dei social media?
Partiamo da un concetto semplice: la comunicazione di uno studio legale consiste nella produzione e diffusione di contenuti interessanti per il suo pubblico. Il pubblico è l’insieme dei clienti attuali e potenziali dello studio. La qualità di quel che si comunica è importante quanto la capacità di renderlo fruibile al pubblico identificato. Perché la comunicazione sia efficace è necessario che Google la intercetti, la indicizzi e la riproponga a chiunque stia cercando quei contenuti, indipendentemente dal fatto che conosca o meno l’autore. I contenuti pubblicati sui social, ma anche quelli stampati su carta, non sono indicizzati da Google, sono quindi deperibili, per non dire evanescenti. Vengono mostrati nell’ambito chiuso -per quanto affollato- delle cerchie e delle audience all’interno dell’ambiente del network e si consumano in fretta. Il sito invece è lo strumento principe della comunicazione: “testata”, “casa editrice” , “vetrina”, “biblioteca” e “archivio” dei contenuti di comunicazione prodotti dallo studio».
Il sito internet quindi è strategico, giusto?
«Esattamente, non se ne può fare a meno. Quello che incide notevolmente è la qualità del sito, la sua idoneità a propagare i contenuti nella rete. Un sito utile in questo senso ha la struttura del blog, e la differenza la farà la qualità e varietà dei media utilizzati per comunicare. Non solo parole scritte, ma anche audio e video cui faranno da volano altre piattaforme, portando traffico al sito e aiutandolo a salire nella classifica di Google».
La web reputation è un aspetto fondamentale e Google in questo rappresenta una “Bibbia”. Come consiglierebbe di intervenire per lavorare sulla reputazione web di uno studio o di un singolo professionista?
«La reputazione on-line è sostanzialmente quello che Google aggrega intorno al nome dell’avvocato o dello studio. Che lo vogliano o no, che se ne curino o meno, sia l’avvocato che lo studio hanno già una web reputation. La cosa importante è decidere di presidiarla, di verificare che corrisponda all’immagine dello studio e al suo posizionamento, cioé alla posizione “relativa” che lo studio occupa nel panorama dei suoi concorrenti».
Che tipo di consiglio darebbe?
«Il consiglio migliore che darei a uno studio è dunque quello di non allentare mai la presa sulla propria reputazione online, di verificare che gli corrisponda e di mettere in campo tutte le strategie per conservarla o migliorarla. In parole povere di “googolarsi” di tanto in tanto e di controllare che tutte le informazioni essenziali siano in ordine».
Come?
«Per attuare una qualunque strategia di comunicazione bisogna, prima di tutto, rispondere a queste domande: che cosa voglio dire (contenuti)? A chi lo voglio dirlo (pubblico)? Come faccio arrivare i contenuti al mio pubblico? Il come si trova nelle tre risposte alle domande di prima e in particolare alla terza: come raggiungo il mio pubblico con i miei contenuti? Il pubblico che interessa allo studio non è la generalità delle persone, ma solo quelle che hanno un certo bisogno, vogliono un avvocato e sono disposti a pagare il prezzo dei servizi che offre. Allo stesso modo, lo studio che interessi al pubblico è quello che offra il servizio cercato al prezzo congruo e che abbia una reputazione online e offline che ispiri fiducia».
Non possiamo non parlare di social network. Vediamo sempre più spesso avvocati pubblicare sui propri account social link di articoli e/o sentenze. Cosa ne pensa?
«Pubblicare link a contenuti altrui è controproducente, se non si offre un valore aggiunto. Commentare attualità, siano sentenze o approfondimenti, va bene, se risponde all’esigenza chiarita prima: cosa interessa alle persone che mi interessano e a Google? Vanno bene gli articoli con contenuti dedicati al proprio target, purché siano pubblicati correttamente, cioé con tutti i requisiti amati da Google, e condivisi sui social, ma solo dopo aver creato cerchie di potenziali clienti e follower con il giusto posizionamento».
Consiglierebbe, quindi, al singolo professionista di avere profili social privati e profili social professionali o l’ibridazione può creare valore?
«Il mio consiglio è di scegliere a monte come usare i social privati, avere quelli professionali è comunque necessario, e di non mescolare troppo. L’uso promiscuo con la sentenza alternata al piatto di pasta o alla foto della comunione del nipote è controproducente. Si può decidere di parlare solo di lavoro su un social network e farlo magari in modo informale, ma non bisogna confondere il pubblico».
Molte aziende stanno investendo nella costruzione dello storytelling aziendale, quali sono gli elementi sui quali è possibile costruire il racconto di uno studio legale?
«Ognuno deve trovare i propri, ma certamente va costruita una proposizione di valore che parta da una identità forte, prosegua con una scelta di campo, “non facciamo tutto ma quello che facciamo lo facciamo bene”, e affermi il valore aggiunto, “perché sceglierci?”. L’elemento più importante però è la costanza. Pubblicare, pubblicare, pubblicare».
I nuovi trend in fatto di social network (TikTok, ClubHouse,Twitch ad esempio) non sono ancora frequentati dagli studi legali, Facebook e LinkedIn la fanno da padrona con dei timidi tentativi su Instagram. Come vede il futuro?
«Tutto quello che risponde alle esigenze di rendersi visibili, interessanti e utili al pubblico ideale è importante per la comunicazione degli avvocati. Non dimentichiamo però che le value proposition sono efficaci se sono seguite dai fatti e la qualità, testimoniata dalla soddisfazione dei clienti, è sempre la prima leva di marketing. Quel che succederà è difficile prevederlo, credo che anche in questo settore diventerà sempre più importante l’influencer marketing, con scenari ancora tutti da scrivere e mi auguro che prima o poi succeda che venga liberalizzata davvero la pubblicità degli avvocati – che oggi possono solo comunicare, ma non promuoversi – così da scatenare nuove forze creative delle quali si sente davvero il bisogno».