I brand alla sfida della Generazione Z

Distratti, sempre connessi, attratti da format sempre più immersivi e giochi interattivi, ma anche abili negoziatori. Dispongono contemporaneamente di cinque dispositivi, ma soltanto 1 su 5, secondo il Global Web Index, visita i profili social delle aziende. E meno della metà (49%) completa un acquisto online, anche perché l’e-commerce è un’azione ancora mediata dai genitori.

Quegli stessi genitori che arrivando su Facebook ne hanno determinato l’esodo verso altri social network.

La generazione Z, quella composta dai nati nei primi dieci anni del Duemila, è al centro dei pensieri delle aziende e dei managment – spesso boomer – che provano a decifrare e incasellare i loro consumi.

Il Financial Times, l’autorevole quotidiano economico-finanziario britannico, qualche settimana fa, ha suggerito ai brand di virare l’attenzione verso questa fascia di mercato che già oggi rappresenta circa il 40% degli acquirenti su scala globale per un mercato che solo negli Stati Uniti d’America vale 600 miliardi di dollari.

Secondo una ricerca condotta da Ernst&Young soltanto il 30% dei componenti della Generazione Z vede con favore strategie di marketing tradizionali, come ad esempio un programma di fidelizzazione. Tutto questo implica, per i brand, riscrivere gli approcci alla vendita in modo meno invasivo e molesto. I nuovi consumatori vogliono sentirsi coinvolti e partecipare attivamente all’evolversi della storia del brand, non vogliono solamente concludere l’acquisto di un bene o un servizio, vogliono vivere un’esperienza ed essere parte di un racconto.

Il centro di Ricerca International Marketing & Sales Communication (Cimasc) dell’Università Iulm di Milano ha realizzato uno studio sull’approccio dei giovani attivisti impegnati a Youth4Climate, l’appuntamento italiano preparatorio al Conference of Part sui cambiamenti climatici di Glasgow (COP26).

«Dal nostro studio emerge come i giovani tendano ad avere un linguaggio semplice e diretto, che punta all’immediatezza e trasmette il senso dell’urgenza. Nel loro modo di comunicare prediligono l’utilizzo di strumenti visivi per fare leva sulle emozioni e coordinare idee e visioni. Un potenziale se si pensa che in futuro le negoziazioni, sia legate al business che al sociale, tenderanno a coinvolgere un numero crescente di interlocutori e sempre più eterogenei tra loro per età, cultura, background e posizioni di potere» spiega Daniela Corsano, professore associato di marketing all’Università Iulm e direttore del Cimasc.

Qual è quindi la sfida per i brand? Prima di tutto aggiornare (o costruire) lo storytelling d’impresa che deve essere coerente con le azioni che l’azienda compie. Altro aspetto importante è l’ascolto. La Generazione Z vuole interagire – molto più che le generazioni precedenti – ed è meno attratta dalle modalità di vendita più veloci e aggressive, come quelle push e maggiormente legate alle emozioni del momento. Risultano molto più efficaci le modalità di vendita più gentili e il cosiddetto perspective selling, cioè la capacità di mettersi nei panni dell’altro.

«Il mondo in cui viviamo ci incoraggia a comprare costantemente. Il cambiamento arriverà se lavoreremo tutti insieme per ridurre il nostro impatto sul pianeta» così Jaden Smith, figlio dell’attore Will e dell’attrice Jada Pinkett, icona della Generazione Z così come l’attivista svedese Greta Thunberg.

Un messaggio forte e chiaro che non può non essere recepito dal mondo del business poiché stiamo parlando della categoria di consumatori più potente del mondo. Una generazione che sta cercando di “bucare il velo aziendale” e che secondo l’AD di Danone Antoine de Saint-Affrique «…hanno una serie di valori completamente nuovi. Vogliono brand impegnati con prodotti autentici».

Se per i giovanissimi l’imperativo è comprare meno (puntando anche sul second hand market) e con più attenzione, per i brand la sfida è evitare di essere etichettati con il “bla bla bla” riservato dall’attivista svedese Greta Thunberg ai leader del Pianeta colpevoli – secondo la stessa – di pronunciare parole vuote sulla lotta al cambiamento climatico.

 

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